mercoledì, maggio 17, 2006

Ministro degli esteri!

Caro D'Alema, il mio auspicio si è avverato. Ora veramente questo BLOG ha un interlocutore privilegiato. E' quindi arrivato il momento di riprendere la mia prima domanda: caro D'Alema, mi può spiegare la differenza che passa tra Racak e Jenin?

Mi spiego meglio: a Racak fu compiuta una strage da parte dell'esercito Jugoslavo (si parla dei tempi di Milosevic e della guerra civile in Kossovo). C'è chi dice che quella strage fosse una montatura, ma questo ci interessa poco, prendiamo per buono che i 46 albanesi uccisi a Racak il 15 gennaio 1999 furono vittime dell'esercito serbo. Tale strage fu il casus belli che portò all'intervento armato contro la Serbia e alla "liberazione" del Kossovo. A Jenin, campo profughi palestinese, dal 3 al 17 aprile 2002, l'esercito israeliano distrugge gran parte della abitazioni e uccide e ferisce un numero imprecisato di persone, sicuramente centinaia.

Entrambi i fatti sono molto gravi, ma si possono annotare differenze. Intanto il Kossovo all'epoca era un territorio politicamente compreso nella Jugoslavia (ora non si sa più cosa sia) e era in corso una guerra tra esercito jugoslavo e le milizie indipendentiste albanesi, una guerra civile; dal punto di vista del governo Jugoslavo un tentativo di secessione armata. Almeno teoricamente quindi, l'esercito Jugoslavo era in Kossovo con qualche diritto (non certo con quello di uccidere civili, naturalmente). Il campo profughi di Jenin si trova in Cisgiordania, terra occupata militarmente da ormai 37 anni dall'esercito israeliano, un esercito nemico. I militari israeliani a Jenin quindi non avevano nessun diritto di esserci, tanto meno quello di uccidere civili e distruggere le loro case.

Ma, caro D'Alema, se già nelle premesse ci sono differenze, differenze che propenderebbero per una maggiore gravità di quanto accaduto a Jenin (seppure preferisco evitare classifiche parlando di tragedie del genere), sono le conseguenze che mi risultano incomprensibili e che abbisognerebbero delle sue parole per essere chiarite.

Come detto, Racak fu la goccia che porto a bombardare la Serbia (e già questo, mi permetta, suona un po' strano, che per "liberare" il Kossovo si sia dovuto bombardare Belgrado...), mentre Jenin... dopo due settimane di occupazione del campo, l'esercito israeliano si ritirò lasciando dietro di se una distesa di macerie e impedì agli inviati di Amnesty di entrarvi. L'ONU, nelle vesti del suo segretario generale Kofi Annan, chiese di istituire una commissione di inchiesta e l'intero consiglio di sicurezza dette l'assenso alla missione. Una commisione fu formata e ... e Israele negò il permesso alla commissione di recarsi a Jenin. Annan ne prese atto e sciolse la commissione.

Caro D'Alema, io non credo ch ci fosse da bombarbare Tel Aviv, ma come posso comprendere che due fatti simili generino il primo un attacco armato e il secondo nulla, nemmeno una minaccetta di sanzione, niente? Israele a detto "no" e il resto del mondo: "scusate, avevamo scherzato..."

I morti di Racak saranno probabilmente ricordati come eroi, in un futuro Kossovo indipendente, quelli di Jenin neppure si sa quanti sono.

martedì, maggio 02, 2006

Questa è la guerra, baby...

Caro D'Alema,
ho atteso, titubante, qualche giorno. E' difficile parlare di fronte al dolore degli altri, davanti a chi si sente in lutto e a chi esorta al lutto. Sarà forse che io mi sento in lutto troppo spesso, da almeno 15 anni, da quando la guerra è tornata ad aver cittadinanza anche nel nostro dorato occidente. Sarà forse per quello, ma non riesco a sentirmi più triste quando chi muore parla la mia stessa lingua. Certo, la morte di chi è vicino tocca di più, assai di più, di quella di persone lontane e sconosciute. Ma perché dovrei considerare più vicini a me uomini che vestono da soldati, portano armi e le utilizzano, di quanto non lo siano uomini e donne inermi che subiscono la violenza impersonale delle bombe, la distruzione dei loro beni e dei loro mezzi di sostentamento, l'occupazione delle loro terre?

Non voglio comunque dire di più, preferisco lasciare ad altri la parola, credo che questa lettera di Piero Bernocchi dica meglio di quanto potrei.

La “pietas” per i soldati italiani morti a Nassiriya e la realtà della guerra

Piero Bernocchi

Fonte: lettera a "Liberazione" pubblicata il 1º maggio
La litania patriottarda dell’Italietta che va in guerra ma vorrebbe immortali i suoi guerrieri è ripartita dopo l’uccisione dei tre militari italiani a Nassiriya (del romeno se ne fregano, perché, ricorda Gigi Sullo, ne muoiono tanti nei cantieri edili). E nel coro melodrammatico le voci del centrosinistra e del centrodestra sono pressoché indistinguibili. «Tragedia nazionale di tutto un popolo», «Un lutto che colpisce e unisce tutta l’Italia», «L’immenso dolore che unisce il Paese», «Piangere tutti insieme i nostri soldati» sono frasi dei leaders dell’Unione che, oltre a segnare la differenza tra la tragica “serietà” bellica dell’imperialismo Usa (69 soldati Usa uccisi negli ultimi 20 giorni: ve lo vedete Bush che invoca la tragedia nazionale?) e il pagliaccesco militarismo nostrano, si subordinano di fatto alla scandalosa tesi della “missione di pace”.

Lo stesso avvenne per la strage di carabinieri tre anni fa. Ma da allora c’è stato un enorme salto di qualità nella guerra: in media cento morti, in prevalenza civili, al giorno, lo sterminio di Fallujah, la distruzione delle moschee e la guerra civile immanente, la vistosa crescita della resistenza armata irachena con (cifre Usa) circa 150 azioni al giorno. Chi può ancora fingere che le truppe italiane non siano pienamente corresponsabili di una guerra sempre più cruenta?

Perché dunque la morte dei tre militari (in guerra ci si va ad ammazzare e ad essere ammazzati) dovrebbe essere una “tragedia nazionale”, provocare “un immenso dolore”, se non dei familiari (e il cui dolore naturalmente comprendo e rispetto), “unire tutta l’Italia”, la cui maggioranza, invece, la guerra non l’ha mai voluta? Semplice “pietas”? Ma perché tale “pietas” non scatta mai per le decine di migliaia di civili massacrati in Iraq? Per i cittadini di Fallujah barbaramente sterminati con il fosforo? Per i torturati di Abu Ghraib e delle altre infami carceri Usa? Perché la morte di un italiano o “occidentale” dovrebbe pesare come un macigno e quella di migliaia di iracheni essere leggera come piuma?

A me pare che ci sia dell’altro, come già per la “prima” Nassiriya e per il mercenario italiano ucciso. Buona parte del centrosinistra asseconda l’idea funesta degli “italiani brava gente”, in Iraq non a fare i guerrieri, ma a svolgere un “mestiere”, scelto magari per pagare la casa, sistemare i familiari, e in definitiva con l’intento di “aiutare le popolazioni”, in Iraq come in Afghanistan. Di lì ad essere resi martiri o eroi, suscitando il cordoglio nazionale, il passo è breve.

Ma, e mi dispiace dirlo dopo - addirittura - Cossiga, «essi, a differenza dei resistenti iracheni, non sono né martiri né eroi, perché non la morte, ma la causa, fa degli uomini martiri ed eroi»; e perché «le nostre sono truppe di occupazione e invasione che hanno ucciso numerosi resistenti iracheni che difendevano l’indipendenza del loro Paese».

Già, la resistenza irachena, tabù anche per i leader del centrosinistra che pure stavolta ripetono la giaculatoria del “terrorismo”, mentre tutta la stampa internazionale, Usa in primis, parla di “insorti”, “resistenti”, “guerriglieri, “combattenti” ecc… Anche un’azione bellica, certo spietata come sempre in guerra, che uccide tre militari delle forze di occupazione (non i pacifici turisti del Mar Rosso), è terrorismo? Ci si rende conto della gravità ideologica e politica di questo disconoscimento del diritto alla resistenza, sanzionato nei secoli dall’umanità?

Tutto quanto ho scritto qui, è quasi ovvietà fuori dai sempre più soffocanti confini italici. Ma da noi oramai fa scandalo, come ogni frase, slogan, scritta sui muri, e persino fischio “non allineato”. E non sto parlando del “10, 100, 1000 Nassiriya”, sul quale negli ultimi giorni sono stato ossessionato da giornalisti sempre più carnefici/vittime di un meccanismo massmediatico micidiale. Quello è uno slogan dannoso, è sbagliato esaltare stragi (anche se, nella logica della resistenza irachena, legittime come azioni di guerra). Ma il processo “ai violenti” si allarga a tutto: bruciare una bandiera (errore, perché scarica su un intero popolo le responsabilità dei governi), gridare uno slogan, una scritta sui muri, e persino fischiare una Letizia Moratti sono atti considerati ben più gravi che buttare il fosforo a Fallujah, massacrare migliaia di civili, torturare e rapire resistenti.

Si vuole stroncare, chiedendo la complicità al centrosinistra, qualsiasi pensiero “non conforme “ e “non allineato”: si vuole imporre che la guerra si chiami pace, la sopraffazione giustizia, il dominio libertà. E chi non ci sta, come mi hanno urlato in Tv Buttiglione e Magdi Allam, o in galera o isolato dal consesso umano come lebbroso moderno. E’ strano se in tale contesto avanzo dubbi sulla volontà della maggioranza del centrosinistra di ritirare subito TUTTE le truppe, senza sostituirle con presunti “ricostruttori” (ma de che?), e se, conseguentemente, invito il movimento anti-guerra a prevedere il miglior utilizzo, di massa e unitario, delle due imminenti scadenze del 2 giugno, parata del bellicismo italico, e del voto alle Camere per il rinnovo del finanziamento delle missioni militari, ivi compresa quella afghana, non più accettabile di quella irachena?